Ricordo che eravamo insieme. Tutto il resto l’ho dimenticato.
Walt Whitman
Brucio di te. Ancora. Sempre e temo per sempre. Ardo di te. Ancora. Da un tempo che nemmeno rammento, fatto di balli a corte e guerre in posti remoti, fatto di lame nell’ombra e baci all’ombra rubati. Ricordo che in quel tempo lontano le nostre promesse incendiavano l’aria e che sotto il baldacchino in fiamme le lingue vibravano come tremule candele. Ricordo la tua pelle d’avorio “conciata dal demonio” diventare tutta rossa con i morsi della passione. Non molto altro ricordo di quando ti ero lontano, se non l’attesa di tornare da noi. Ricordo invece chiaramente ogni giorno, come se fosse quel giorno, l’ora nera nella quale ti ho perduta, perdendo a mia volta ogni umanità. Ricordo di averti stretta forte tra fumi d’incenso, di averti stretto forte per non far volar via la tua anima. Ricordo di aver lasciato sul sagrato le piume delle tue ali lese. Ricordo di aver bevuto il tuo sangue per portarlo sempre nel mio e da allora il nostro sangue mi guida. Ti ho cercata, mio angelo di fuoco, in ogni volo d’uccello nei cieli di Bucarest, in ogni soffio di vento nella mecca a Costantinopoli, nel fruscìo di ogni stoffa stesa sul Bosforo ad asciugare. Ti ho cercata nell’alito di vino rubino di ogni concubina, alle quali riversavo ogni menzogna di cui ero capace, chiamandola con il tuo nome. Ricordo ogni notte insonne dalla notte in cui un fiume ha preso il tuo nome. Notti in cui vagavo nei castelli prima, nei palazzi poi, alla ricerca di qualche traccia nell’aria di te. Così ti ho cercato in ogni goccia di assenzio versata e in ogni lacrima ti ho aspettata. Ogni secondo di ogni minuto, di ogni giorno, di ogni mese, di ogni anno, di ogni maledetto secolo lontano da te. Ho atteso che ti reincarnassi per me, che rinascessi per noi. Ho atteso fiutando nell’aria come una bestia, ho atteso nell’ombra paziente per capire il dove e il quando e ho pregato ogni demone di indicarmi tempo e lungo del tuo ritorno terreno. Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti. E ora che sei qui davanti a me, ora che ti ho trovata, per salvarti dal rogo, già devo perderti. Ma adesso non importa. Divoriamoci, fino all’alba facciamoci nostri. Gettiamoci tra le fiamme e dormiamo qui abbracciati. Stretti per una notte infinita. Fammi dormire sul tuo grembo e fatti stringere i fianchi per non farti volare via come nell’ultimo addio. Restiamo qui, fusi, disciolti, dal calore di questo letto di brace. Restiamo qui per l’eternità che ci promettemmo in quel tempo così lontano, quando ancora prima di nascere ci fummo promessi dal destino per essere roba nostra. Quando fummo maledetti da un dio invidioso, molto prima del tempo in cui giurammo sui nostri nomi. Sul tuo, sospirato a mezza bocca dai cherubini del cielo, e sul mio, urlato dai demoni dell’inferno. La commistione delle nostre essenze è da sempre stata una combustione. Una vampa. Così è sempre stato e così sempre sarà.
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